L’IMMAGINE SOVRANA. URBANO VIII E I BARBERINI a Palazzo Barberini

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#artiebellezzeitaliane Photo by Massimo Gaudio Gian Lorenzo Bernini, Ritratto di Urbano VIII, 1632, Marmo, cm. 83 Avrei potuto iniziare questo articolo in molti modi vista la grandiosità della mostra iniziata ufficialmente il 18 marzo scorso in occasione del quarto centenario della elezione al soglio pontificio di Maffeo Barberini col nome di Urbano VIII il 6 agosto 1623. Dicevo che avrei potuto iniziare in molti modi diversi, ma quello che più mi viene naturale è quello di dire che non si tratta di una mostra all'interno di uno dei più importanti musei d'Italia, perché è lo stesso museo ad essere "la mostra". Tutto Palazzo Barberini è interessato ad ospitare questo evento intitolato L’IMMAGINE SOVRANA. URBANO VIII E I BARBERINI, che in un percorso espositivo articolato in dodici sezioni, ha inizio dallo Spazio Mostre situato al pianterreno per poi proseguire alle sale monumentali e quelle normalmente utilizzate dalla collezione permanente situate al piano nobile. Lo

Artemisia Gentilechi, Giuditta decapita Oloferne

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Photo by Massimo Gaudio
Artemisia Gentilechi, Giuditta decapita Oloferne (1620 ca.)

“Dio lo ha colpito per mano di donna”. Così Giuditta, giovane ebrea di Betulia, commenta nella Bibbia il suo atto eroico che portò Israele alla liberazione del suo popolo dall’assedio dell’esercito di Nabucodonosor. Giuditta si era presentata all’accampamento del crudele Oloferne, capo dell’esercito nemico, vestita nei suoi abiti migliori, fingendo di volersi alleare con lui. Il generale assiro, colpito dalla bellezza di lei, la invita ad un ricco banchetto nella sua tenda. Dopo aver mangiato e bevuto, Oloferne, ubriaco, cade addormentato nel suo letto, dando occasione a Giuditta di sottrargli la scimitarra e infierirgli il colpo mortale. Nell’imponente dipinto degli Uffizi (1620 circa), Artemisia Gentileschi affronta il momento dell’uccisione di Oloferne per mano di una determinata e vigorosa Giuditta. L’effetto d’insieme è potente e spaventoso: il corpulento generale è ubriaco e riverso sul letto, la testa afferrata per la chioma, la spada che affonda nel collo. Artemisia non esita ad esibire un dettaglio cruento come il sangue che schizza copiosamente fino a macchiare il petto della stessa Giuditta. Il quadro era stato terminato a Roma dove Artemisia era tornata dopo sette anni di permanenza a Firenze e dove aveva potuto rinverdire il contatto con le opere caravaggesche. La naturalistica “virilità” della rappresentazione produsse severe reazioni al suo invio a Firenze e negò al dipinto l’onore di un’esposizione privilegiata in Galleria, anzi a fatica la pittrice, e solo per intervento dell’amico Galileo Galilei, riuscì a farsi corrispondere con grande ritardo il compenso a suo tempo pattuito dal Granduca Cosimo II de’ Medici, scomparso nel 1621, appena dopo l’esecuzione della grande tela. Questo dipinto oggi ci parla anche dell'avventura umana e professionale di una donna che scelse di essere artista in un'epoca dominata dagli uomini: e vi riuscì, lavorando per le corti di Roma, Firenze, Napoli, spingendosi in Inghilterra e infine entrando, prima donna in assoluto, nell'Accademia delle Arti e del Disegno di Firenze. (testo tratto dal sito Le Gallerie degli Uffizi)


Autore: Artemisia Gentileschi (Roma 1593 - Napoli 1652/1653)
Titolo: Giuditta decapita Oloferne
Datazione: 1620 ca.
Supporto : Olio su tela
Misure (cm): 146,5 x 108
Si trova: Galleria degli Uffizi
Luogo: Firenze

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